La Società Umanitaria indice il Premio Presidente Società Umanitaria, migliore sceneggiatura al femminile, allo scopo di promuovere e valorizzare il ruolo della donna.

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IL PROGETTO

Il Premio Presidente Società Umanitaria, anch’esso quest’anno alla sua prima edizione, è promosso dalla storica istituzione milanese per catalizzare l’attenzione verso uno degli elementi fondamentali del film: la sceneggiatura.

Il comitato organizzatore sceglierà 5  film europei distribuiti in Italia nel 2021, non necessariamente scritti da una donna, ma caratterizzati dal racconto o rappresentazione di un soggetto femminile.

La cinquina finalista sarà pubblicata nella nostra news del mese di aprile. I cinque film finalisti saranno disponibili in streaming fino a settembre sul canale web della Cineteca di Milano.

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PREMIO E OPPORTUNITÀ

L’obiettivo del Premio Presidente Società Umanitaria è creare un network attorno alla tematica del femminile nella realtà cinematografica e diffondere queste idee a 360° nella cultura italiana coinvolgendo le diverse e importanti realtà, non solo in ambito cinematografico ma anche editoriale, nell’informazione, nella politica, che negli ultimi anni si muovono in questa direzione.

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LA GIURIA TECNICA

Il premio viene dato alla migliore sceneggiatura da una giuria di critici cinematografici così composta:

Annarita Briganti, Paola Casella, Vittorio Lingiardi, Caterina Liverani, Paolo Mereghetti, Marina Pierri, Valentina Torrini.

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GRAN GALÀ E PREMIAZIONE

L’annuncio del film vincitore e la consegna del premio di 5.000 € (al lordo di ogni tassa e imposta e di eventuali oneri previdenziali) avverrà a Milano, nel Salone degli Affreschi della Società Umanitaria, in via Daverio 7, il 30 settembre 2022, alle ore 19.00.

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FILM IN CONCORSO

I cinque film finalisti sono scelti dall’organizzazione prendendo in considerazione sedici titoli che riproponiamo come invito al cinema. Titane, di Julia Ducournau, La scelta di Anne – L’Événement,  di Audrey Diwan e Sesso sfortunato o follie porno, di Radu Jude hanno già ricevuto il massimo riconoscimento (rispettivamente a Cannes, a Venezia e Berlino) e non sono nella lista dei film in concorso per dare modo ad altri titoli meritevoli, ma più sconosciuti, di essere evidenziati al pubblico attraverso il Premio.

TITOLI IN CONCORSO

A Chiara
Regia e sceneggiatura Jonas Carpignano. ITALIA/FRANCIA/USA 2021, 98’. Distr. Lucky Red – premio Europe Cinemas Label della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes. Diverse altre candidature e premi.

Si festeggia il 18esimo compleanno di Giulia, figlia maggiore di una famiglia di Gioia Tauro. Sua sorella Chiara (Swamy Rotolo) ha quindici anni ed è in un momento delicato e cruciale dell’adolescenza. La scoperta che l’amato padre è affiliato alla ‘ndrangheta locale sarà l’inizio per la ragazza di una serie di eventi e interrogativi complicati e dolorosi, nel tentativo di capire quale potrà essere il suo futuro. Racconto di formazione al femminile con cui Carpignano, classe 1984, conclude l’ideale trilogia ambientata a Gioia Tauro. La protagonista, una magnetica Swamy Rotolo, si trova di colpo catapultata in un mondo oscuro, fatto di segreti di famiglia, omertà, riti di passaggio, in cui il regista introduce lo spettatore grazie a un uso dinamico e immersivo della macchina da presa, in un gioco di dentro e fuori che intesse con naturalezza frammenti di vita reale al racconto di finzione.

«In A Chiara a contare è soprattutto il metodo di lavoro con gli attori non professionisti, quasi tutti impeccabili e chiamati dal cineasta a connettere le proprie esperienze di vita con quelle dei rispettivi personaggi per non disperdere fragranza e urgenza poetica» da una recensione di LongTake.

 

Beginning – L’inizio
Regia e sceneggiatura Dea Kulumbegashvili e Rati Oneli, distr. Valmyn GEORGIA / FRANCIA 2020 [26 January 2021 al Trieste Film Festival].

Film d’esordio della scrittrice e regista georgiana Dea Kulumbegashvili: la vita soffocante di una donna che ha rinunciato alla carriera di attrice per sposare un pastore protestante. Più visivo che “parlato”. Molto crudo, molto angosciante. La violenza subita da una donna sotto tantissimi aspetti (dal marito, dalla società, dagli uomini). Già vincitore come Miglior Film, Miglior regia, Miglior sceneggiatura e Migliore Attrice al San Sebastian Film Festival, e come Miglior Film al Trieste Film Festival, nonché vincitore del Premio della Critica Internazionale FIPRESCI a Toronto e selezionato a Cannes Label 2020, BEGINNING vuole essere un atto d’accusa universale contro la violenza sulle donne e offrire uno spunto di riflessione sulla condizione esistenziale femminile e sul ruolo della religione e della femminilità in Georgia.

«Beginning è il viaggio di una donna verso l’accettazione di se stessa, malgrado l’infinito abisso che ha di fronte» da un’intervista alla regista per film.TV.

 

Due
Regia Filippo Meneghetti. Sceneggiatura F. Meneghetti, Malysone Bovorasmy, Florence Vignon. FRANCIA/BELGIO/LUSSEMBURGO, 2021, 95’. Distr. Teodora Film – premio César per il miglior esordio. Candidato agli Oscar per la Francia. Una nomination ai Golden Globes come miglior film straniero.

Due donne mature, Nina e Madeleine, si amano in segreto da decenni. Tutti, compresi i parenti di Madeleine, pensano che siano solo vicine di casa. Ma quando la routine di ogni giorno viene sconvolta da un evento improvviso, la famiglia di Madeleine finisce per scoprire la verità. E l’amore fra le due è messo alla prova.

«Due segna il sorprendente esordio alla regia di lungometraggio di finzione dell’italiano Filippo Meneghetti. Con soffuse luci dorate a far da sfondo, il film narra un amore maturo vissuto con passione adolescenziale: intenso, travolgente e complicato. Rifiutando qualunque cliché, il regista porta sullo schermo una storia che lo spettatore non potrà fare a meno di percepire come autentica. Un lungometraggio dolce e delicato, che scalda il cuore senza scadere mai nel melenso» Eleonora Artese.

 

La persona peggiore del mondo (tit. orig. ‘Julie’)
Regia Joachim Trier. sceneggiatura J.Trier e Eskil Vogt. NORVEGIA / FRANCIA / SVEZIA / DANIMARCA 2021, 121’ – Premio per la miglior protagonista femminile (Renate Reinsve) a Cannes, 2 candidature: BAFTA e European Film Awards. Distrib. Teodora Film.

Oslo, giorni nostri. In 12 capitoli più prologo e epilogo, quattro anni nella vita di Julie, una trentenne che esplora la vita, il mondo, le relazioni interpersonali, gli studi, il lavoro, la carriera, il sesso, la crescita, il fallimento, l’amore, le emozioni, le imposizioni e le convenzioni sociali mentre cerca disperatamente di trovare un senso, una linea da seguire.

«Il film di Trier, nonostante l’assenza di star e la provenienza, potrebbe diventare un grande successo al botteghino con il passaparola. La pubblicità purtroppo lo lancia come una specie di nuovo Amélie eppure non c’è davvero alcuna relazione tra quel personaggio lezioso e sdolcinato e questa Julie che con tigna e onestà cerca risposte alla domanda “quando si diventa davvero adulti?“. È qualcosa che ha a che vedere con il lavoro, con la nostra dimensione pubblica? O bisogna diventare genitori per dirsi adulti? O forse bisogna fare i conti una volta per tutte con il proprio passato familiare? Julie attraversa ogni fase e noi con lei, di corsa per le strade di Oslo mentre il tempo si ferma (scena strepitosa, cuore del film) fino alla scoperta del dolore e forse anche della verità» Paola Jacobbi, Harper’s Bazaar.

 

L’Arminuta
Regia di Giuseppe Bonito, ITALIA, 2021 tratto dal romanzo bestseller di Donatella Di Pietrantonio vincitore del Premio Campiello 2017.

Una ragazzina di tredici anni che tutti chiamano l’Arminuta scopre di non essere la figlia delle persone con cui è cresciuta e viene restituita alla sua vera famiglia. All’improvviso perde tutto della sua vita precedente: una casa confortevole e l’affetto esclusivo riservato a chi è figlio unico venendo catapultata in un mondo estraneo.

 

Atlas
Regia di Niccolò Castelli, SVIZZERA / BELGIO / ITALIA, 90′.

La lunga e dolorosa lotta di Allegra, sopravvissuta a un attentato terroristico che è costato la vita a tre suoi amici. Un dramma maturo sull’elaborazione del lutto e sul rapporto con l’altro, strutturato come un delicato studio caratteriale di una ragazza giovane ancora in divenire.

 

France
Regia e sceneggiatura Bruno Dumont.FRANCIA / GERMANIA / ITALIA / BELGIO 2021, distr. Academy Two 1 candidatura a Cesar.

France de Meurs (Léa Seydoux) è una star del giornalismo priva di scrupoli, la conduttrice televisiva più potente di Francia, famosa anche per i suoi  reportage su zone di guerra in Medioriente. Un giorno tampona Baptiste, un biker che fa consegne a domicilio: è il colpo che fa scattare l’effetto domino nella sua vita apparentemente perfetta, mentre la fama tanto inseguita dalla donna diventa improvvisamente una attanagliante persecuzione, e il suo piccolo circo mediatico collassa.

«Perfezionando il gioco di cesure narrative sperimentato in Ma Loute, Dumont parte con una piccola inverosimiglianza (il veniale incidente citato più sopra, che porterebbe France verso il ravvedimento morale) per poi disseminare il resto del film con inverosimiglianze sempre crescenti, ingigantendole con certosina gradualità. Non è solo un modo di autodenunciare il carattere manipolatorio della narrazione (la quale affianca così l’oggetto della propria critica, France, accusata dall’inizio di essere manipolatrice), ma anche un modo di suggerire una sensazione di immobilità: ci sono così tanti rovesciamenti narrativi, e sempre più drastici, che alla fine tutto questo rovesciarsi perde qualunque effetto, e si annulla in stasi. (…)  Qui entra in gioco il partito preso stilistico di Dumont, che consiste nell’insistenza sui primi piani della sua protagonista (e degli altri personaggi). In questo film in cui continui rovesciamenti si rovesciano in immobilità, Dumont si allinea a Robert Bresson rovesciandolo: se Bresson trovava l’espressività nell’assenza di espressione a cui riduceva i propri attori, Dumont parte, al contrario, da primi piani di Lea Seydoux sfacciatamente espressivi, che però a forza di scrutarli al microscopio della cinepresa finiscono per rivelare un’inquietante inespressività di fondo. Più si cerca il vero più si cade nella falsificazione mediatica, ma il neutro non è né vero né falso, e dunque è, di per sé, estraneo allo Spettacolo. Quindi no, lo Spettacolo non è l’ultima parola. Quando viene trovata una forma alla coincidenza tra starne dentro e starne fuori, lo Spettacolo viene fattualmente scardinato: in France, sullo sfondo di continui rovesciamenti che si trasformano in stasi, questa forma è la post-bressoniana neutralità espressiva, che taglia trasversalmente la divisione stessa tra dentro e fuori. Solo quando, nell’ultimissima scena, avremo finalmente per la prima volta l’uno di fianco all’altra la cinica e l’innocente, l’insider mediatica e l’outsider, solo allora emergerà un sintomo genuino dell’unica realtà autentica, che non è né la realtà vera del mondo né quella finta dei media, ma la realtà sociale, nella sua micidiale neutralità» Marco Grosoli, gliSpietati.it.

 

Il ballo delle pazze
Regia e sceneggiatura Mélanie Laurent, tratto dall’omonimo romanzo di Victoria Mas. FRANCIA 2021, distr. Prime Video.

Parigi, 1885. Eugénie Cléry è giovane e bella: tutto, nel suo aspetto, rivela l’estrazione altoborghese. Eugénie oltre a desiderare ardentemente di essere ammessa ‘da pari’ alla società delle lettere maschili, è in grado di stabilire un contatto con gli spiriti dei morti. La sua vivacità intellettuale è, tuttavia, ‘fraintesa’ dal padre che la fa internare a Salpêtrière, un ospedale costruito due secoli prima da Luigi XIV in cui vengono deportate donne affette da disordini psichici o ritardi cognitivi tra i più vari: mania, malinconia, oligofrenia, isteria. Qui Eugénie incontrerà altre donne, di varie estrazioni sociali, ricoverate. E l’infermiera Geneviève.

«La regista chiede al pubblico di regolare i conti, di attribuire la colpa del sacrificio delle vite di tante donne alla volontà patriarcale di cancellare la potenza sovversiva del femminile, invitandolo a interrogarsi su chi sia da considerarsi folle: se chi viene etichettato come tale o chi, invece, agisce coercizione e violenza per sbarazzarsi di ciò che non comprende e lo turba, talvolta insieme lo eccita e lo atterrisce» da una recensione di Cinematographe.it.

 

Marilyn ha gli occhi neri
Regia di Simone Godano, Sceneggiatura: Giulia Louise Steigerwalt. ITALIA, 2021. Netflix.

Diego ha dei problemi di contenimento delle frustrazioni ed è ripiegato su se stesso. Clara è affetta da mitomania, dice bugie così convincenti da convincere anche se stessa della loro veridicità. I due fanno parte di un gruppo sottoposto a riabilitazione forzata sotto la guida di uno psichiatra. Non era facile scrivere e poi dirigere un film sulle problematiche psichiche senza scivolare nella retorica o ridicolizzare le problematiche stesse che affliggono chi è affetto da queste patologie. I due ci riescono senza mai andare sopra le righe e suscitando, anche quando propongono il tormentone della paziente incapace di contenere le proprie esplosioni verbali, sorrisi venati di comprensione [disponibile su Netflix].

 

Maternal  (tit. orig. Hogar)
Regia Maura Delpero.  sceneggiatura M. Depero e Giacomo Durzi. ITALIA/ARGENTINA, 2021 (prima uscita 2019), 91’. Distr. Lucky Red.

Buenos Aires. Lu e Fati sono madri adolescenti che vivono in una casa famiglia religiosa. Dall’Italia arriva Suor Paola, in procinto di prendere i voti perpetui. L’incontro tra le tre donne e il loro rapporto con la maternità scateneranno reazioni inaspettate.

«Adolescenze strappate bruscamente al flusso naturale della crescita, donne che sono ancora ragazze e già madri. Maura Delpero parte da qui, dalla resa quasi documentaristica di questo contrasto, per arrivare a esplorarlo a un livello quasi sensoriale. (…) L’idea è quella di rappresentare un luogo in cui convivano oggetti, sensazioni e persino odori apparentemente inconciliabili tra loro. Ma calando la realtà scissa e schizofrenica di queste ragazze madri nel contesto di un convento di suore, l’ossimoro si sposta su un livello ulteriore: da un lato si trovano le ragazze inadeguate a essere madri, dall’altro le donne che hanno scelto di non diventarlo, benché nel caso di Paola la volontà recondita sembri affermare tutt’altro» Emanuele  Sacchi, MYMovies.

 

Petite maman
Regia e sceneggiatura Céline Sciamma. FRANCIA 2021, 72’. Distr. Teodora Film – 1 nomination ai BAFTA.

La nonna di Nelly, che ha otto anni, muore in una casa di riposo. Nelly e i genitori raggiungono quella che era la sua abitazione per svuotarla, in vista di una probabile vendita. La mamma, Marion, ritrova ciò che possedeva quando era bambina e racconta di una capanna costruita nel bosco. D’improvviso poi parte lasciando Nelly sola con il padre. Girovagando nel bosco, Nelly trova una bambina, in tutto e per tutto simile a lei, che sta costruendo una capanna. Quella bambina si chiama Marion. Una profonda amicizia nasce tra loro.

«La casa, il bosco, le stanze, gli oggetti, le bimbe stesse vivono di una doppiezza fatata e disvelatrice che ammalia e sorprende. Perché in fondo questo film è una storia di fantasmi fatta di spazi che si svuotano, di anime che ci lasciano, e di sentimenti che si solidificano. Un dolore mai esibito, ordinato su inquadrature fisse dalla rigorosa distanza rispetto ai soggetti inquadrati, costruito nel fitto e secco dialogo tra Nelly e Marion, artefici di buffonerie fanciullesche (le ricette preparate in cucina, la zuppa schifiltosa sputazzata nel piatto) come di un gioco di recitazione che pone in essere un finale di rara compostezza psicologica e di robusta scorza femminile» Davide Turrini, Il Fatto Quotidiano.

 

Quo Vadis, Aida?
Regia e sceneggiatura Jasmila Žbanić. BOSNIA / HERZEGOVINA / AUSTRIA / ROMANIA / PAESI BASSI / GERMANIA / POLONIA / FRANCIA / NORVEGIA, 2020, distr. Academy Two, Lucky Red [uscito in Italia 30 settembre 2021]. Presentato in concorso a Venezia nel 2020. Candidato come miglior film internazionale agli Oscar e ai Golden Globe.

Luglio 1995. Aida, bosniaca, lavora come interprete in una base ONU nei giorni che precedono l’occupazione di Srebrenica da parte dell’esercito serbo. All’invasione della città, Aida, la sua famiglia e centinaia di cittadini bosniaci si vedono costretti a rifugiarsi nel campo ONU. Ma il sistema di protezione internazionale si rivela sempre più inadeguato. Aida si trova stretta tra due fuochi, in un disperato tentativo di salvare la propria famiglia e i propri concittadini da un grave pericolo.

«L’atteggiamento costantemente sopra le righe di Aida è reso alla perfezione da Jasna Đuričić, che muove ogni singolo muscolo facciale per dare sfogo alle nevrosi di chi lotta con i propri deboli mezzi – ma con una caparbietà impareggiabile – contro una situazione che è inevitabilmente più grande di quella che una singola persona possa gestire. E il personaggio di Aida finisce per mettere in ombra quella parte di film (quella in cui la donna non agisce come pressoché esclusivo centro di interesse) che è tuttavia indispensabile alla riuscita generale dell’operazione, in quanto fondamentale per ricreare quel contesto di assoluta credibilità – storica, logistica, sociale – dentro cui le vicende umane vanno a intrecciarsi. Perché “Quo vadis, Aida?” è di fatto, a suo modo, il risultato di un considerevole sforzo produttivo, soprattutto se si considera il contesto di un paese, la Bosnia, che produce mediamente un film all’anno (inevitabile, dunque, la co-produzione di altri nove paesi europei). Uno sforzo che si nota ampiamente – non appena la focale dell’obiettivo si accorcia, passando dai primi piani della donna ai campi lunghi o lunghissimi che permettono di svelare pienamente il contesto – nei mezzi, nelle location, nel numero di comparse, tra le quali figurano uomini e donne che avevano vissuto in prima persona gli orrori della guerra civile e che hanno voluto e saputo interagire costruttivamente fornendo piccoli dettagli utili ad accrescere la verosimiglianza storica degli eventi narrati. Ma l’apparato produttivo, pur di rilievo, ha il merito di non prendere mai il sopravvento, sapientemente piegato a componente essenziale, ma sempre in disparte, di una storia individuale costantemente a fuoco e perfettamente calata nel contesto di una delle tante pagine buie del Novecento» Vincenzo Chieppa, ondacinema.it.

 

SIMPLE WOMEN
Regia Maria Chiara Malta, 2019 ma distribuito in Italia 2021, Sceneggiatura: Chiara Malta. Sйbastien Laudenbach, Marco Pettenello. ITALIA / ROMANIA.

Folgorata in adolescenza dalla visione di Simple Men di Hal Hartley, e dalla sua interprete Elina Lцwensohn, da bambina Federica aveva sofferto di crisi epilettiche, proprio come la protagonista di quel film. Trent’anni dopo Federica, giovane regista impiegata presso la Televisione vaticana, incontra Elina, mito underground in leggero declino, a Roma per un ennesimo provino. Federica le propone di girare un film sulla sua vita, dall’infanzia nella Romania di Ceausescu ai cult-movie americani, ed и come la promessa di una rinascita. Sul set perт niente va come previsto, perchй il cinema и un’illusione e gli idoli sono sempre destinati a cadere dal piedistallo. Ma proprio quando tutto sembra sul punto di esplodere, il film come per magia trova una nuova forma.

«Per anni ho creduto che Elina Löwensohn fosse un’attrice americana. L’avevo vista al cinema, nei film di Hal Hartley. Non posso dire di essere stata una sua fan. Sapevo chi era, niente più: Elina Löwensohn, un’attrice americana. Poi un giorno qualcuno ci ha presentate. Mi ha detto subito che era rumena. Di quest’incontro mi è rimasta l’eco di una frase in testa, come un ritornello martellante, ostinato: “Non sono un’attrice americana”. Non sono ciò che credi. Simple Women è iniziato così» Chiara Malta

 

Sulla Giostra
Regia Giorgia Cecere. Sceneggiatura G. Cecere, Pierpaolo Pirone. ITALIA 2021, 90’. Distr. Notorius Pictures.

Quando una villa salentina viene messa in vendita, l’anziana governante, Ada, si rifiuta di consegnare le chiavi all’agente immobiliare. Per convincerla, giunge da Roma Irene, la figlia della proprietaria: separata un figlio adolescente, un lavoro stressante. L’iniziale conflitto tra le due donne sfumerà in una reciproca comprensione.

«Terza regia di Giorgia Cecere, una ‘conversation pièce’ mai asfittica malgrado la prevalenza di interni. Se gli eventi sono scarsi, ciò permette di apprezzare di più l’interpretazione di Lucia Sardo. Di regola gli attori italiani o agiscono, o parlano. Lei ha le mani sempre occupate (monda la verdura, lavora all’uncinetto, accarezza il gatto…) dando alla sua Ada una rara credibilità» Roberto Nepoti, La Repubblica.

 

Un anno con Salinger (tit. orig. My Salinger Year)

Canada, Irlanda, 2020, Regia di Philippe Falardeau, sceneggiatura Philippe Falardeau; con Margaret Qualley, Sigourney Weaver, Douglas Booth, Seána Kerslake, Colm Feore. Uscita 11 novembre 2021.

Nella New York degli anni 90, una giovane donna di nome Joanna, con il sogno di scrivere, viene assunta come assistente dell’agente letterario di J.D. Salinger. La ragazza fatica a trovare la propria voce mentre fa il suo lavoro.

La storia è vera, il film è tratto dal bel libro-memoir di Joanna Rakoff, pubblicato in Italia da Neri Pozza. Oggi scrittrice e giornalista, Rakoff davvero lavorò nell’agenzia che rappresentava Salinger. Il personaggio è interpretato da Margaret Qualley, la bravissima figlia di Andie McDowell, appena vista in Maid su Netflix, lanciata da Quentin Tarantino in C’era una volta a…Hollywood. Credibile e carismatica, tiene testa a Sigourney Weaver, gli scambi tra le due sono la parte migliore del film.(Paola Jacobbi, Bazar).

 

3/19
Regia di Silvio Soldini. Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Davide Lantieri, Silvio Soldini. ITALIA, 2021

Kasia Smutniak interpreta un’avvocatessa di successo coinvolta nella morte di un giovane migrante. Al centro della storia c’è una donna sulla quarantina che non pensa di meritare nulla di ciò che ottiene con la sua ferrea disciplina da soldato e che ha dimenticato come ci si relaziona agli altri essere umani, in particolare quelli cui vuole bene.

L’organizzazione si riserva di modificare la composizione della giuria, le modalità della rassegna e la data precisa della premiazione in corso d’opera.